A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

Promemoria. L’Istituto Statale d’Arte di Porta Romana

di Marco Fagioli

Una testimonianza tra “storia e memoria” sul movimento studentesco e la lotta per la riforma della scuola nel 1973-76 obbliga più che a riflettere sul “come eravamo” a chiedersi che cosa è rimasto.
La risposta per me è lapidaria: non è rimasto nulla.
Va detto prima di tutto, questo perlomeno per l’Istituto d’Arte di Porta Romana, che è la scuola a cui si riferisce la mia esperienza di allora come insegnante, che il movimento del 1973-1976 venne dopo una lotta più che decennale degli studenti e degli insegnanti, che era iniziata con il grande sciopero e i cortei cittadini del 1961 contro la riforma del Ministro Giacinto Bosco e la lotta per l’apertura dell’accesso all’Università degli studenti degli Istituti Professionali. Poi vi era stato il 1968, sui cui effetti politico-culturali esiste un’ampia letteratura. Il punto centrale del progetto di riforma della scuola superiore secondaria, riguardante gli Istituti d’Arte, i Licei Artistici e le Accademie di Belle Arti si riferiva allora al superamento della divisione tra istruzione classica, scientifica e artistica, quindi della separazione tra Licei e Istituti Professionali, istituita dalla riforma Gentile del 1933 e ancora esistente dopo la riforma della scuola media unica nel 1961.
Va detto a posteriori che la struttura della scuola superiore configurata dalla riforma Gentile, pur nella sua natura classista, aveva un carattere funzionale di aderenza alla società italiana del tempo, e che tuto sommato le riforme o pseudo-riforme degli anni successivi non sono riuscite a raggiungere quel grado di aderenza alla società. Non voglio essere frainteso: non sostengo che la scuola fondata sulla riforma Gentile fosse più giusta o democratica di quella postbellica, ma senza dubbio aveva un fondamento culturale interno strutturato più organicamente di quella successiva. La rottura del modello di scuola gentiliana fu determinata da due motivi diversi e contrapposti, che tuttavia conversero allo stesso fine. Da un lato l’esigenza di rimodellare la superiore secondaria alle necessità di formazione richieste dal mercato del lavoro, diverso da quello dell’Italia anteguerra e successivo boom economico, che dettava il superamento delle vecchie professionalità manifatturiere e artigiane, e mirava a diversi sistemi di produzione; esigenza questa sostenuta dalla Confindustria e dalle imprese commerciali.
Dall’altro lato il movimento di rivendicazione e lotta della classe lavoratrice per scardinare la limitazione rigida degli accessi universitari, allora concessi solo ai Licei e discriminanti tutta l’istruzione professionale.
I due movimenti, tra loro antagonisti, concorsero così a uno stesso fine, quello del superamento della bipartizione gentiliana.
Si segnala un terzo motivo: la resistenza al cambiamento e all’abbandono della vecchia struttura da parte della burocrazia statale, Ministero della Pubblica Istruzione, Ispettorati, Provveditorati e in parte sindacati autonomi degli insegnanti, spesso arroccati nella difesa dell’ordine esistente per la paura, fondata, di perdere alcuni “privilegi”.
Questa resistenza sortì in parte una funzione frenante, poiché di fatto rallentava quel processo di cambiamento sostenuto sia dai sindacati confederati che da alcuni settori della classe imprenditoriale.
A un certo punto il lungo dibattito parlamentare sulla riforma della Superiore Secondaria, che caratterizzò tutto il periodo 1960-1975, trovò una convergenza, anche se parziale, sul modello di Liceo unico nel primo triennio, con uscite laterali pre-universitarie al biennio finale. La convergenza fu frutto del segreto dibattito che vide come protagonisti Marino Raicich, l’anima vera del progetto di riforma per il P.C.I., poiché Giuseppe Chiarante, responsabile della comunicazione culturale, si interessava in prevalenza di Università, il democristiano On. Spitella e il segretario del Partito Repubblicano On. Oddo Biasini, già preside e uomo di scuola. Va detto che Marino Raicich, come ben sa chi l’ha conosciuto, univa alla intelligenza politica una profonda preparazione culturale di storico della scuola italiana risorgimentale e post-risorgimentale.
Se la memoria non mi inganna, dato che come insegnanti ci recammo a Roma presso la Commissione parlamentare due o tre volte, sarebbe interessante ricercare gli Atti, questa convergenza fu frutto di un lungo e paziente lavoro di qualche anno. Che cosa di quel progetto di riforma sia arrivato nelle cosiddette riforme dei decenni successivi è difficile capire.
Prima di tutto si dovrebbe considerare che le riforme legislative, i testi delle leggi, non possono di per sé recare dei rinnovamenti culturali, e tantomeno una nuova “cultura” intesa nel senso in cui indicava in alcuni suoi scritti Antonio Gramsci.
Un rinnovamento della scuola, intesa come luogo di formazione culturale, non poteva che avvenire in relazione a un rinnovamento reale della società nelle sue strutture. Questo non sembra sia avvenuto nella società italiana degli ultimi decenni. Che cosa abbiano significato le lotte del movimento studentesco e le esperienze didattiche nella seconda metà del Novecento rimane arduo stabilire. Oggi gli eventi di quegli anni si possono vedere con la distanza che è indispensabile per un’analisi critica.
Purtroppo ogni riflessione su questa storia di una riforma alla fine incompiuta, poiché gli eventi successivi presero altre direzioni, come il presente conferma, si trova a fare i conti con quella che in simmetria alla “banalità del male” (Arendt), qualcuno ha definito la “banalità del bene” (Cioran): la lotta per la riforma è stata un processo positivo che tuttavia non ci ha salvati dalla diffusa banalità che caratterizza la società italiana attuale nelle sue forme e figure.

comunicazione effettuata in occasione del convegno "Tra memoria e storia. Il Movimento Studentesco Fiorentino (1971-1978)" (9-10.5.2014)

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