A cura di: Antongiulio Barbaro, Alessio Bartaloni, Amos Cecchi, Antonio Floridia, Monica Liperini,
Arnaldo Melloni, Eriberto Melloni, Massimo Migani, Mario Primicerio, Simone Siliani



Nessuno è chiamato a scegliere tra essere in Europa e essere nel Mediterraneo,
poiché l'Europa intera è nel Mediterraneo.

Aldo Moro

Il Movimento per la Riforma della Scuola: “memoria” di un insegnante e di un genitore (1963-1977)

di Gigliola Paoletti

Per descrivere le esperienze di quegli anni ricostruendone in qualche modo  la memoria  mi serve datare nel tempo e richiamare alla mente alcuni elementi del contesto politico-istituzionale nazionale nel quale prese forma e si sviluppò anche a Firenze e in toscana quel Movimento per la Riforma della Scuola che per molti di noi ha dato inizio a un’intera “stagione” di impegno professionale e politico [1].
Mi riferisco in particolare: alla legge istitutiva della Scuola Media Obbligatoria (1962); all’approvazione della legge sulla nascita della  Scuola Materna Statale (1968); alla proposta di legge del PCI per la Riforma della Scuola Secondaria Superiore (Marino Raicich 1971); ai Decreti Delegati  per l’istituzione degli Organi Collegiali della Scuola (1974).
Eventi di un quadro legislativo che  - a mio modo di vedere, a posteriori - trovano un riscontro in quel contesto di fenomeni politici, culturali, organizzativi e professionali che caratterizzarono l’esperienza fiorentina e toscana a cui cerco di agganciare il filo della mia memoria.

1963-1968 - La riforma della scuola media unificata
L’attuazione dell’istruzione obbligatoria e gratuita fino ai 14 anni, con cui il  primo  Centro Sinistra intese caratterizzare le proprie politiche di “cambiamento”, comportò per lo Stato italiano, fino dall’anno scolastico 1963/64, l’assunzione in massa di tanti nuovi insegnanti. Una vera e propria emergenza occupazionale …. in positivo!
Per accogliere le nuove masse di studenti, dalle nostre parti furono assunti anche giovani appena laureati e, in alcuni casi - nelle sedi più disagiate - andarono in cattedra anche studenti al terzo o quarto anno di Università e,  in assenza di specifiche norme di accesso,  furono utilizzati con incarichi annuali, senza una formazione specifica e senza riferimenti programmatici (i Programmi per la “nuova” Scuola Media saranno emanati dal Ministero della Pubblica Istruzione nel  1979!!!). Un vero e proprio tsunami sull’antica e onorata categoria docente preesistente.
Per molti  di noi che facemmo parte di quel “precariato” l’esperienza della scuola media unica volle dire lavoro, autonomia economica dalla famiglia d’origine, poter pensare a  farsi una propria famiglia,  e anche prendere coscienza del ruolo che come insegnante puoi avere nella vita di tanti - tutti?! - futuri cittadini, che per la prima (e in molti casi unica!) volta usufruivano dell’estensione del diritto allo studio e alla conoscenza. Fare scuola significava contribuire concretamente  al processo di crescita e sviluppo della società italiana: “…. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli ……  che limitando di fatto l’eguaglianza dei cittadini …”, diceva l’articolo 3 della Costituzione,  e noi ….  sentivamo di contribuire a quel compito!
Per una parte della nostra generazione fare scuola nella nuova scuola media obbligatoria fu dunque l’occasione di una più estesa coscienza politica: acquisire la consapevolezza del ruolo sociale della scuola; l’importanza, verificata quotidianamente, del lavoro degli insegnanti  per la realizzazione di una democrazia compiuta, quella delineata dalla Costituzione della Repubblica nata dall’Antifascismo e dalla Resistenza. Una coscienza politica e un’ispirazione democratica che richiedevano un serio impegno professionale per realizzare una grande impresa: il prolungamento dell’obbligo scolastico come effettivo accesso/successo all’istruzione-per-tutti.
L’incremento esponenziale del numero di studenti e di docenti, il trovarsi “lanciati” (e lasciati a se stessi) in una situazione strutturale e organizzativa nella quale era quasi tutto da inventare, spinsero alcuni di noi a fondare la  CGIL-Scuola [2], iniziando da “lavoratori della scuola” a superare le forme organizzative tradizionali del sindacalismo autonomo. Sorse anche l’esigenza di dar vita a forme di aggregazione professionale all’interno delle quali avere occasione di discutere e prospettare gli assetti culturali e metodologici necessari alla nuova scuola di massa che andavamo realizzando: un movimento associativo finalizzato a sostenere il nuovo compito che assumevamo di rendere effettivo ed  efficace  il “diritto-all’istruzione-per-tutti”.

1968-1978 - La domanda di riforma nella scuola media superiore
Nel sistema scolastico nazionale l’obbligatorietà dell’accesso alla scuola media, fino ad allora riservato ad un’élite (anche se il processo di attuazione e generalizzazione dell’obbligo vedrà a lungo ritardi e inadempienze da parte dei Governi che da allora si succedettero), riversò in appena un triennio, quasi automaticamente,  il proprio “peso” sulla Scuola Superiore, determinandovi una crescita esponenziale  della popolazione scolastica: sorsero e assunsero nuova forza, anche in questo ordine di scuola, importanti esigenze e domande di trasformazione sul piano degli obiettivi formativi, dei contenuti, della didattica, e degli stessi ordinamenti.
In quel tempo - siamo alla fine degli anni sessanta e precisamente nel 1967 - alcuni di noi, passando  in alcuni casi direttamente da un ‘esperienza di docenza nella nuova scuola media  o addirittura nella scuola elementare, andarono ad insegnare nella Scuola Secondaria Superiore le discipline nelle quali si erano laureati: fu così che io ad esempio ebbi una serie di incarichi annuali per l’insegnamento di storia e filosofia nei licei, prima di Pistoia (1967-1968,1968-1969,1969-1970,1970-1971), poi di Prato (1971-1972, 1972-1973), infine di Firenze (1973-1974).
L’essere giovani, l’apertura al futuro, l’esigenza del nuovo, l’impegno a vivere una professionalità seria ed appassionata, si incontrava con generazioni nuove di studenti (un esempio per tutti: al Liceo classico arrivarono a fine anni sessanta, in uscita dalla nuova scuola media, numerosi  figli del ceto medio e anche di operai) che ci sollecitavano a “vivere la scuola “ in modo diverso da come noi stessi l’avevamo vissuta. Divenne dunque importante e necessario ripensare e scegliere il “cosa” e il “come” si insegnava, quanto e come recepire e/o sollecitare le esigenze di cambiamento degli studenti  rispetto alla “tradizione”; fino a riflettere e ripensare l’impianto culturale stesso dato alla scuola secondaria superiore dalla Riforma Gentile, di fatto ancora vigente.
E nella concreta pratica quotidiana di una professionalità  seria, appassionata, in costante ricerca del nuovo, volta a captare e interpretare gli interessi, le esigenze, le caratteristiche e le difficoltà di ciascun studente si trovavano conferme della critica deweyana alla “scuola tradizionale” e si  provava ad introdurre  lo stile professionale della migliore tradizione pedagogico-didattica di “casa nostra”: quella costruita  nella scuola di base italiana da grandi “maestri”come Ciari e Lodi. E ci ponevamo anche  il problema di come  riorganizzare i contenuti culturali  dei Programmi, nelle discipline che insegnavamo, iniziando una riflessione su quali ne fossero gli elementi “fondanti”. Lungo questo percorso ciascuno di noi ha incontrato altri colleghi compagni di strada e molti studenti con cui la consegna reciproca era: si lavora, si studia, si ragiona, ci si batte per vedere realizzate su un piano più generale (istituzionale?) le idee di rinnovamento che “regolavano” il nostro impegno di studio, i nostri rapporti  e  la nostra pratica quotidiani.
Così è avvenuto - nella mia esperienza - che a Pistoia, nel 1968, i ragazzi di una mia  terza nel Liceo Classico Forteguerri, durante lo svolgimento del Collegio dei docenti d’inizio d’anno, entrassero per presentare le loro proposte per studiare di più e meglio: andò a finire che furono processati per direttissima, con l’imputazione di avere interrotto un pubblico servizio, ed io, insieme ad altri colleghi, fui interrogata dal Magistrato per tre lunghe ore!
Avvenne anche che nel 1971, nell’assemblea degli studenti del medesimo Liceo, convocata a seguito della Circolare del MSI ai Presidi delle Scuole Secondarie Superiori, con altre due colleghe della neonata sezione sindacale della CGIL-Scuola  aderissimo alla costituzione del Comitato Unitario Antifascista proposto dagli studenti, e ricevessimo la minaccia di “denuncia per istigazione a delinquere” del MSI locale, con lettera indirizzata a Preside e Provveditore.
La solidarietà della città di Pistoia (l’Amministrazione Comunale di Pistoia - Sindaco Toni, Assessore all’Istruzione Bardelli - aveva per parte sua organizzato una ferma risposta all’iniziativa del MSI richiedendo una presa di posizione del Provveditore agli Studi  perché scindesse la propria responsabilità da quella assunta da un’assemblea dei Presidi pistoiesi che aveva mostrato “terreno propizio”all’iniziativa del MSI,  e non ricevendone risposta, affisse un manifesto in tutta la città dal titolo “Pistoia ricusa il Provveditore” in cui se ne chiedeva l’allontanamento dalla città), la solidarietà  dei colleghi della CGIL–Scuola di Firenze, le interpellanze parlamentari (On. Beragnoli) che a questo fatto seguirono, ci convinsero vieppiù della necessità di un impegno politico, anche fuori della scuola, per essere, insieme ad altri, “protagonisti attivi della vita professionale e culturale” nelle nostre città.
Per me rappresentò l’inizio di un percorso che mi portò a far parte attiva di quel Movimento per la Riforma della Scuola, già presente a livello nazionale, che a Firenze significò anche: occuparsi in prima persona della costruzione di scuole che non c’erano; partecipare alla lotta contro la selezione dei ragazzini di scuola media dei quartieri popolari (attraverso anche i doposcuola e le iniziative di “recupero”estivo), promuovere e organizzare, insieme ad altri insegnanti della scuola media dell’Isolotto (Luigina Stefani, Daria Frezza, Elda Padalino, Schiavoncini, Prizzom…) forme associative di genitori che li rendessero protagonisti consapevoli della richiesta di qualità per la “scuola di tutti“, organizzandone la partecipazione  a quei “comitati scuola-famiglia” che precedettero l’istituzione degli Organi Collegiali [3].
E significò anche incontrare il PCI fiorentino che con Marino Raicich, aveva saputo “incrociare” e, in molti casi, interpretare le diverse istanze che esprimevamo, mettendole in contatto e a confronto con il più ampio dibattito nazionale e con il livello politico-istituzionale appropriato,cui quelle stesse istanze andavano rivolte: il Parlamento, il Ministero della Pubblica Istruzione, il Governo della città.

1970-1977 - Il C.I.S.I.D e la battaglia culturale per la Riforma della Scuola Superiore
Fu  in  occasione della vicenda pistoiese che conobbi Mario Benvenuti, che allora insegnava al Liceo Scientifico Leonardo da Vinci di Firenze (era stato professore di liceo della giovane collega Maria Bellucci che insieme a me era stata messa sotto minaccia dal MSI al Liceo Forteguerri di Pistoia). Mario si fece promotore del documento con cui la CGIL-Scuola di Firenze espresse pubblicamente solidarietà per la nostra vicenda pistoiese.
Insieme a lui e a Mario Vezzani [4], demmo vita, con il sostegno del Circolo Vie Nuove e dei  Comunisti di quella casa del Popolo  al CISID (Centro Iniziativa e Studi Insegnanti Democratici).
Le iniziative del CISID trovarono  numerose occasioni di intesa, di incontro e di collaborazione con quella parte del Movimento Studentesco fiorentino di cui  Stefano Bassi, Amos Cecchi, Fabrizio Bartaloni, Catia Franci, Giuseppe Guida e tanti altri intendono oggi ricostruire le vicende.
Come adulti-insegnanti che ci ritrovavamo nel CISID, nutrivamo forte senso di  responsabilità verso il “destino” istituzionale delle lotte degli studenti  e ricordo che fummo sempre attenti a rispettarne l’autonomia. Discutevamo spesso di come fosse importante nella costruzione del Movimento di  Riforma, che pure ritenevamo dovesse essere obiettivo comune,  mantenere la distinzione di ruolo fra noi professori e loro studenti, ritenendo che ognuno dovesse fare la propria parte.
Penso si possa attribuire in parte anche a questa ricercata convergenza, il fatto che il MSF abbia assunto una particolare fisionomia e abbia potuto esprimere modalità e istanze di lotta diverse da quelle che in quegli anni emersero nel Movimento degli Studenti nella stessa Firenze, in altre città d’Italia e a livello nazionale.
Servirebbe  ricordare a questo proposito, e più in generale, anche  il ruolo esercitato dall’iniziativa del PCI fiorentino rispetto al sorgere e allo svilupparsi di questo e di altri movimenti  (ad esempio: i “cattolici del dissenso” che alle elezioni amministrative del maggio-giugno 1966, dichiararono pubblicamente e in nome del Concilio Vaticano Secondo, che non avrebbero votato Democrazia Cristiana; le vicende della Parrocchia dell’Isolotto, e il “movimento di quartiere”, successivo all’Alluvione del novembre 1966....) che caratterizzarono in quegli anni  la vita della società fiorentina.
Sarebbe interessante, in particolare, capire come questo partito seppe esercitare quella funzione di “sintesi “ propria del partito politico a vantaggio della formazione di una  nuova classe dirigente, che il PCI fiorentino seppe del resto già esprimere e presentare quando nelle elezioni del 1975 per Palazzo Vecchio fu conquistata la maggioranza alla Sinistra nel governo della città.
Fu fra l’altro in quella occasione che  il PCI chiese a Mario Benvenuti, fondatore e animatore principale del CISID  (che era stato eletto al Consiglio Comunale come indipendente nelle liste di quel partito, insieme ad altri esponenti del movimento dei cattolici del dissenso e del movimento di quartiere) di fare l’Assessore alla Pubblica Istruzione nella Giunta di Sinistra. Una scelta che, introducendo per la prima volta  fra gli obiettivi del Governo comunale quello della “qualità dell’istruzione”, rappresentò la continuità e non più soltanto simbolica, con il Movimento di Riforma che fino dagli inizi degli anni ‘70 aveva animato la città  e a cui anche il CISID, con Mario Benvenuti, aveva dato il suo contributo.

La Collana “Per una didattica di Riforma”
L’iniziativa del CISID fu volta principalmente a porre e discutere le problematiche di tipo culturale che sottostavano alla battaglia per la Riforma della Scuola Media Superiore [5], organizzando gruppi di studio, lezioni-incontro, convegni  che ne prospettassero le soluzioni.
La presentazione della proposta di Legge di Marino Raicich  per la riforma della Secondaria Superiore aveva aperto nel Paese e fra gli intellettuali un ampio dibattito anche sul “nuovo asse culturale” su cui si sarebbe dovuta imperniare  la nuova  Secondaria Superiore. Il CISID fiorentino scelse di  partecipare attivamente a questo dibattito, volendo in qualche modo introdurre e rappresentare in esso la voce della scuola.
Nel suo pur breve periodo di vita il CISID (anticipando la costituzione di quello che fu allora ed è ancora oggi il CIDI) [6], creò numerose occasioni di incontro per quella parte di “insegnanti democratici” che volevano essere i protagonisti di una scuola-che-intendeva-rinnovare-se-stessa: insegnanti a cui venivano offerte occasioni di confronto, di approfondimento, di studio, di scambio sia culturale che professionale, di “alleanze” con il mondo dell’Università e della Ricerca. Ci si associava per capire, per studiare, per confrontarsi, per venire incontro a specifiche esigenze di professionalità, distinte dai problemi di tutela e dalle istanze rivendicative proprie del sindacato.
Il tema centrale che animò le numerose iniziative pubbliche che il CISID nel giro di pochi anni organizzò fu quello dell’innovazione di contenuti e di metodi in relazione al nuovo “asse culturale” attorno al quale ripensare quei contenuti e quei metodi  per  rinnovare sia strutturalmente, che organizzativamente, che didatticamente la scuola, ripensandone il ruolo per una società a democrazia compiuta.
La serie di “lezioni e incontri” che organizzammo negli anni 1974  e 1975, in particolare, coinvolgendo attivamente esponenti dell’Università e della Ricerca [7], intellettuali protagonisti del dibattito politico-culturale provenienti da tutto il Paese, dette vita ad una Collana [8] di pubblicazioni intitolata “Per una didattica di riforma”, che l’editore Guaraldi pubblicò successivamente nel 1977 e 1978.
Nel primo volume che porta il titolo “Specializzazione Scientifica e Unità della Cultura” e riproduce il testo delle “lezioni” tenute - in occasioni diverse - da Lucio Lombardo Radice ed Eugenio Garin, c’è un’introduzione redazionale dal significativo titolo “Per una didattica di Riforma” che senza troppi giri di parole, partendo dalle “indagini sulla scuola italiana”, mette le questioni dell’innovazione della didattica in stretta relazione con l’innovazione delle e nelle “materie” ed entrambe con il cambiamento della condizione professionale degli insegnanti, chiamando con il loro nome gli ostacoli di matrice idealista e cattolica che si frapponevano al cambiamento della scuola : la pretesa “neutralità della cultura” e una “libertà di insegnamento” troppo spesso utilizzata a difesa  di posizioni individualistiche e immobilistiche.
E cito direttamente dal testo:

 “ …. la condizione di lavoro degli insegnanti è caratterizzata negativamente dall’assenza nella scuola di spazi reali di incontro e di dibattito, di ricerca e di approfondimento effettivi sui temi e problemi dell’insegnamento….Si impone...la scelta di un aspetto specifico del rapporto fra riforma della scuola e didattica ..… un punto realmente nodale, tale da coinvolgere più direttamente la riflessione degli insegnanti e da richiedere la loro partecipazione…in questo momento cruciale (sic! ndr) della lotta per il rinnovamento della cultura e delle istituzioni educative…ben consapevoli che questa lotta non si esaurisce con un provvedimento legislativo, ma richiederà una serie molto complessa di interventi e di iniziative”. “….Si tratta di riflettere sulla finalità di una nuova scuola media secondaria unica, che avvia all’Università o alla produzione e che guida lo studente ad assumere responsabilità politiche e civili”.
E ancora “…. Se nuovo asse culturale significa apertura di spazi democratici nella scuola, collegamento fra scuola e società, fra scuola e mondo del lavoro (sic! ndr), nonché giudizio positivo sulle organizzazioni e sulle lotte studentesche, non meno deve apparire legittimo ed urgente il problema della ristrutturazione organica dei contenuti dell’insegnamento, dimostrandone il carattere di strumenti ineliminabili per la comprensione della realtà e l’intervento operativo cosciente su di essa”.
“... Il sistema delle materie non corrisponde più in nessun modo al sistema attuale delle discipline scientifiche ….la ricomposizione unitaria del sapere, nonché del sapere per la pratica, difficilmente può avvenire a partire da un sistema di materie …. a compartimenti-stagno”.

E nel dibattito apertosi sull’alternativa fra riforma metodologico-didattica e riforma dei contenuti, si affermava:

una “didattica di riforma” si consegue  “…attraverso  la ricerca di una diversa organizzazione dei contenuti culturali dell’insegnamento e non la sola riforma della didattica degli insegnamenti”.

E nel merito, riprendendo l’ affermazione del diverso ruolo che la Riforma dovrà assegnare all’insegnamento scientifico nell’ordinamento degli studi:

“ … il valore della formazione metodologica e critica presente nell’insegnamento scientifico (valore peraltro tutto da scoprire  nella scuola italiana) può concretizzarsi se la reimpostazione dell’insegnamento scientifico avviene tenendo conto sia del valore progressivo e liberante della scienza in quanto tale sia del suo essere prodotto specifico ma non separato dell’evoluzione storica delle società”; e più oltre “…la scuola deve proporre con maggior forza l’insegnamento scientifico, collocandolo in una dimensione culturale non più subalterna e dequalificata”.


Note
[1] Mi riferisco in particolare al contributo che ho potuto dare alla realizzazione delle politiche per il diritto allo studio, per la qualità della scuola e per l’infanzia (che giusto in quegli anni si delinearono e affermarono in Toscana negli Enti Locali amministrati dalla Sinistra e nella Giunta Regionale), lavorando dal 1975 in qualità di dirigente dei servizi educativi culturali e sociali nel  Comune di Scandicci.
[2] Fu a Pistoia, presso la Camera del Lavoro, nel 1967 (se non ricordo male) in una riunione nella quale intervennero Salvatore Tassinari, che era il Segretario di Firenze, il Segretario della Camera del Lavoro di Pistoia e da Roma mi sembra venisse Bondioli. Nelle varie riunioni preparatorie, erano con noi alcuni studenti, fra cui ricordo Vannino Chiti. Nominammo Segretario Franco Marchesini, insegnante di scuola media. Con me, che ero in quell’anno passata a insegnare alle Superiori, c’erano anche  Marcella Bausi e Maria Sivieri  che insegnavano alle scuole medie. Con Maria Bellucci e Sebastiana Santini  (mie colleghe al liceo classico Forteguerri ) costituimmo la …”sezione sindacale CGIL-Scuola  del Liceo Forteguerri” che, come vedremo, prese parte attiva alle vicende che caratterizzarono la risposta di Pistoia alla “Circolare ai Presidi” del MSI emanata a livello nazionale e che fu l’inizio della risposta della destra fascista alla nascita del Movimento di Riforma.
[3] Come genitore, successivamente ai Decreti Delegati, ho preso parte alla organizzazione della partecipazione dei genitori  negli Organi Collegiali (Consigli di Classe, di Circolo e di Istituto, Consiglio Scolastico Provinciale, Consigli di Distretto) e, in stretta sintonia con Catia Franci, alla costruzione del Centro di iniziativa per la Scuola e la Formazione (1978), organismo attivo a livello cittadino e provinciale, confluito poi, a livello nazionale, nel CGD (Coordinamento Genitori Democratici ) con cui abbiamo continuato ad organizzare a Firenze e in Toscana importanti iniziative di partecipazione delle famiglie alla vita e alla  qualità della scuola; per l’affermazione, lo sviluppo e la diffusione, a sinistra e  nel nostro paese, di una cultura dell’infanzia e dell’educazione.
[4] Mario Vezzani, già da tempo iscritto al PCI, maestro elementare all’Isolotto, era stato mio compagno di Università al Magistero di Firenze dove ci eravamo laureati con Giulio Preti - altro grande maestro! - entrambi con una tesi di laurea in filosofia della scienza. Mario, passato da maestro elementare a professore di liceo sull’Amiata, era poi rientrato a Firenze.
[5] Furono organizzati incontri e gruppi di studio anche per/da  insegnanti di scuola media.
[6] Interessante notare la diversità di senso delle due sigle: Centro Iniziativa e Studi Insegnanti Democratici, quello fiorentino; Centro Iniziativa Democratica Insegnanti, quello di fondazione romana (1972 ), dove quello fiorentino sottolineava la  necessità di dare vita a forme autonome di confronto culturale e professionale, evidenziando in ciò stesso la “democraticità” degli insegnanti di cui la nuova scuola si riteneva avesse prioritariamente bisogno e quello romano-nazionale in cui si sottolineava l’urgenza di democraticità nell’iniziativa degli stessi insegnanti. Negli incontri che avemmo a Roma e in successivi numerosi Convegni nazionali organizzati con la Nuova Italia, per confrontare le diverse esperienze e motivazioni di un lavoro, che comunque ritenevamo comune, ricordo il convinto e appassionato impegno che Luciana Pecchioli, Bice Chiaromonte e Tullio De Mauro mettevano nel considerare prioritario per l’attuazione generalizzata dell’obbligo scolastico ai 14 anni, il promuovere, organizzare e generalizzare l’innovazione didattica e professionale nella  scuola media. Un impegno di lunga lena che dette i suoi frutti, anche per il ruolo di interlocuzione con il Ministero della Pubblica Istruzione che il CIDI seppe conquistare.
[7] Val la pena ricordare anche che tutti i docenti universitari e i ricercatori  che parteciparono alle iniziative del Cisid: Eugenio Garin, Lucio Lombardo Radice, Paolo Rossi, Giorgio Mori, Giuliano Innamorati, Ettore Casari, Giuliano Toraldo di Francia, Leonardo Paggi, Aldo Zanardo, Marcello Buiatti, Salvatore Califano, Alberto Dolara, Giorgio Luti, Tullio De Mauro, Sergio Moravia, Antonio Santoni Rugiu, Angelo Baracca, Antonio Carbonaro, Ruggero Querzoli, Ludovico Geymonat, Giulio Giorello, Enrico Bellone lo fecero a titolo gratuito, volendo significare la loro condivisione della battaglia culturale che il CISID intendeva sostenere attorno alle questioni della Riforma. Vale la pena ricordare anche che a Firenze il CISID, nella totale estraneità manifestata dal Pentapartito che allora governava Palazzo Vecchio, ebbe  per l’organizzazione delle proprie iniziative pubbliche il sostegno convinto e fattivo della Provincia di Firenze, con l’allora Presidente Luigi Tassinari e l’Assessore all’Istruzione Mila Pieralli.
[8] I 10 volumetti contenuti nel Programma della Collana che riprodusse in parte le “lezioni” organizzate dal CISID mostrano come la riflessione sul nuovo asse culturale fosse vista principalmente come problema della “ricomposizione unitaria delle discipline”, in relazione alle problematiche più generali dell’“unità della cultura” intesa come superamento delle “due culture”, attraverso un nuovo e più incisivo ruolo da attribuire all’insegnamento scientifico nell’ordinamento scolastico riformato.

comunicazione effettuata in occasione del convegno "Tra memoria e storia. Il Movimento Studentesco Fiorentino (1971-1978)" (9-10.5.2014)

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